Come cambiare colore

C’è chi dice che le pareti sono mute.
Io non ci credo per niente.

Le pareti parlano eccome. Raccontano molto di quello che ci piace, cosa ci fa sentire al sicuro.
A volte lo fanno sottovoce, altre ti urlano addosso tutta la loro storia.

Da bambina, per esempio, mi piaceva dormire nella camera di mia nonna perché alle pareti c'era una delicatissima carta da parati celeste con dei soffioni che volavano portati dal vento. Mi piaceva svegliarmi lì perché era sempre primavera e mi piaceva addormentarmi lì perché mi pareva di sentire il vento che cullava il mio respiro insufflando sogni gentili. Pare che mia nonna l’avesse scelta per mia mamma quando era piccola, per farla dormire in un cielo azzurro. A mia nonna piaceva molto l’azzurro, e penso che quella carta palasse molto più di lei che di mia madre. 

Le carte da parati, del resto, hanno una storia lunghissima e piuttosto sorprendente. Tutto comincia molto lontano da qui, in Cina, intorno al 200 a.C., quando si decoravano le pareti con fogli di seta.
Poi, nel 105 d.C., arriva Ts’ai Lun, funzionario di corte, che inventa la carta come la conosciamo oggi, impastando fibre vegetali, paglia di riso, bambù. Una rivoluzione silenziosa.

La carta prende il posto della seta: costa meno, circola di più, si presta benissimo a essere decorata con fiori, paesaggi, scene quotidiane. E qui arriva la parte ironica: nel nord della Cina queste carte venivano usate soprattutto per isolare le stanze dal freddo. Altro che decorazione poetica. Le pareti, per lo più, restavano sobrie.

Quelle carte dipinte a mano, piene di uccelli esotici, giardini impossibili e paesaggi fantastici che arrivano in Europa nel XVII secolo, erano fatte apposta per l’esportazione. L’Occidente ne va pazzo. Diventano status symbol nei salotti aristocratici e accendono la mania per lo stile chinoiserie.
In pratica: in Europa ci perdevamo la testa, in Cina le usavano per non congelare.

In Europa, intanto, le wallpaper diventano l’alternativa più accessibile agli arazzi e ai tessuti damascati.
Con la rivoluzione industriale, all’inizio dell’Ottocento, anche la classe media può finalmente permettersi di decorare casa. Le carte smettono di essere dipinte a mano e iniziano a essere stampate in serie.

Ed ecco che compaiono i grandi classici: i finti damaschi per sembrare più ricchi di quello che si è, le righe verticali per far sembrare i soffitti più alti (ambizione sociale stampata su muro), i motivi floreali per riportare dentro casa quella natura che fuori stava sparendo sotto fabbriche e ciminiere.

Poi, negli anni Settanta dell’Ottocento, arriva William Morris. E cambia tutto.
Morris era poeta, designer, socialista convinto e profondamente allergico alla bruttezza. Credeva che vivere circondati da oggetti malfatti rendesse le persone più tristi e più povere dentro. Fondò il movimento Arts and Crafts con un’idea molto chiara: gli oggetti quotidiani devono essere belli, fatti con cura, pensati.

Le sue carte da parati, come le famose Willow Bough – sono giardini impossibili che invadono lo spazio domestico. Stampava tutto a mano, con blocchi di legno di pero intagliati e colori naturali. E non si fermava alla carta: disegnava tessuti, piastrelle, arredi. Per lui non erano decorazioni, erano dichiarazioni politiche. Manifesti silenziosi che dicevano: si può abitare il bello anche vivendo in una città grigia, anche lavorando in fabbrica, anche mentre il mondo corre troppo veloce.

Da sempre, le wallpaper servono a questo: portare il mondo dentro casa. Foreste, piante esotiche, viaggi immaginari, geometrie rassicuranti, scene di caccia, trompe-l’œil. Cambiano le mode, cambiano i gusti, ma l’idea resta.

Ed eccoci a Carnovsky, che fanno fare alle pareti un salto quantico.
Le loro carte non si limitano a decorare: si attivano. Dei filtri RGB con i colori primari sovrapposti, e sotto i tuoi occhi il mondo cambia. La flora diventa fauna, il giorno si trasforma in notte.
Non guardi più la parete: ci interagisci.

Francesco Rugi e Silvia Quintanilla, duo italo-colombiano, hanno trasformato la carta da parati in un’esperienza percettiva. Il loro metodo è tanto semplice quanto geniale: tre immagini diverse sovrapposte, leggibili solo attraverso filtri, nel loro caso, luci , rosso, verde e blu.
A occhio nudo vedi un caos meraviglioso, una giungla psichedelica. Poi cambi filtro e appare una foresta. Ne cambi un altro e vedi animali. Un altro ancora, e compaiono scheletri, anatomie, strutture interne. È come se la parete avesse più livelli di coscienza.

La natura non è più solo rappresentata: è stratificata, nascosta, rivelata. Le pareti non ti avvolgono passivamente, ti chiedono di partecipare. Devi scegliere cosa guardare. Devi muoverti. La stanza cambia con te.

L’idea che una parete possa contenere tre mondi simultaneamente mi affascina profondamente. Giorno e notte, vita e morte, superficie e profondità. Un po’ come noi, in fondo: stratificati, contraddittori, diversi a seconda di chi ci guarda.

Carnovsky lavora spesso con flora e fauna, mescolando specie diverse nello stesso ecosistema. Nelle wallpaper della serie RGB convivono tigri e colibrì, piante tropicali e scheletri umani. È un delirio organizzato, un giardino impossibile ma stranamente credibile.

Come se la natura, lasciata libera di sovrapporsi, creasse connessioni che noi non osiamo nemmeno immaginare. Io li ho incontrati così: persa nella vastità dell’internet, a caccia di riferimenti visivi per progetti futuri e per questa newsletter. Quando ho visto il loro lavoro, sono rimasta folgorata. Il modo in cui trattano colore e forma, questa sovrapposizione di livelli, mi ha incantata al punto da scrivergli subito. Dovevo sapere tutto: come stampano, come scelgono i soggetti, come nasce una parete così.

Dentro le loro foreste senti le urla delle scimmie e il cinguettio degli uccelli. I corpi vivisezionati, scomposti e ricomposti, rimandano ai disegni anatomici di Andrea Vesalio e al suo De humani corporis fabrica del 1543. Sono immagini precise, quasi chirurgiche. Ti sembra di vedere il sangue scorrere.

Johannes Itten, il grande teorico del colore del Bauhaus, probabilmente sorriderebbe vedendo con quanta naturalezza Carnovsky usa lo spettro RGB e lascia che i colori si fondano per sovrapposizione. Anche se, a voler essere pignoli, Itten lavorava sul modello CMYK dei pigmenti, mentre qui siamo nel regno della luce, dell’additivo, dello schermo.

Ed è per tutte queste ragioni che li ho voluti portare a passeggio con noi.
Qui sotto trovate l’intervista completa a questo duo che ha trasformato le carte da parati in esperienze percettive.

Buona esplorazione.


INTERVISTA A CARNOVSKY

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INTERVISTA A CARNOVSKY 〰️


Ciao Silvia, ciao Francesco
Benvenuti a TALEA.
Grazie per essere venuti a passeggio nel bosco con noi.

C: risposta collettiva (Carnovsky)
F: riposta di Francesco Rugi
S: riposta di Silvia Quintanilla

1) Per chi ancora non vi conosce, vi va di raccontarci chi siete e qual è il vostro percorso?
Come siete arrivati a creare Carnovsky?
F
: Ci siamo conosciuti a Milano nel 2004 dove entrambi stavamo seguendo un master in Design alla Domus Academy. Poi da cosa nasce cosa e siamo diventati una coppia nella vita e nel lavoro. Carnovsky come progetto nasce alla fine del 2006, anche se all’inizio non sapevamo bene quale direzione prendere. 
S: Non avevamo le idee così chiare su cosa fare però questo ci ha permesso di sperimentare molto in due campi che ci hanno sempre appassionato, la stampa e la luce, così dopo un po’di tempo siamo arrivati a RGB e ci siamo resi conto di avere in mano qualcosa di interessante, qualcosa su cui valeva la pena lavorare e ci abbiamo investito molto tempo e molte energie per creare un universo visivo che fosse esteticamente rilevante e riconoscibile e non fosse solo un gadget.

2) Sono rimasta affascinata dall’uso del colore e dalle composizioni che fate. Come è nata l'idea di lavorare con i tre colori primari sovrapposti e i filtri RGB? C'è stato un momento specifico di illuminazione o è stato un percorso di sperimentazione graduale?
C:
Ma è sempre difficile dire come arriva l’ispirazione, diciamo che siamo stati sempre affascinati dalle tecniche di stampa e dalla luce, quindi abbiamo cercato di mettere insieme le due cose. Conoscevamo degli esempi dove veniva utilizzato un filtro rosso per rivelare un’immagine nascosta, solo che noi lo abbiamo fatto con tutti i tre colori primari e non solamente con uno e lo abbiamo fatto applicando delle luci colorate anziché i filtri di gelatina e questo ci ha permesso di creare delle pareti che si trasformano: una sorta di “cinema statico”. Questa è una definizione che è stata data del nostro lavoro e che ci piace molto e volentieri utilizziamo perché evocativa ed efficace.

3)La vostra tecnica richiede una progettazione molto precisa: come si sviluppa concretamente un'immagine Carnovsky, dalla prima idea fino alla realizzazione finale?
Ci sono bozzetti, disegni preparatori?
C:
La nostra è una tecnica complessa e faticosa, perché hai 4 immagini in una. Non solo ogni livello deve funzionare singolarmente ma deve anche funzionare in relazione agli altri, sia cromaticamente sia narrativamente. Per noi è molto importante che l’immagine composita, quella che si vede a luce naturale senza filtri, sia esteticamente bella, che abbia un equilibrio cromatico e compositivo. E raggiungere questo punto di equilibrio è difficile, richiede molto lavoro e non sempre ci si arriva. Quindi purtroppo a volte capita di lavorare settimane su un’immagine e poi rendersi conto che il risultato non funziona e bisogna ricominciare tutto da capo. 

Poi certo l’esperienza aiuta, ma esiste sempre un certo margine di incertezza per cui non si è mai certi del risultato finale finché i tre livelli non sono “montati” l’uno sull’altro.

4) Lavorando in coppia, come integrate i vostri due segni, le vostre due sensibilità? Chi fa cosa, o è tutto condiviso sin dall'inizio?
F:
Lavoriamo sempre insieme su ogni progetto, poi certamente su alcuni può lavorare più uno dell’altro, ma il risultato finale è sempre condiviso da entrambi. Diciamo che alcuni lavori sono più adatti a uno dei due, per esempio Silvia ha una mente più geometrica mentre io più pittorica.
S: Veniamo anche da mondi un po’ diversi, per esempio se si parla di fauna e flora, di immaginario e storia, io sono Colombiana, Francesco Italiano, però condividiamo la passione per le stampe antiche,
la storia naturale, i viaggi di esplorazione e in Carnovsky questi mondi diversi si incontrano e si sovrappongono.

5) Molti vostri lavori attingono al mondo naturale, all'anatomia, alla storia dell'arte.
Come scegliete i soggetti da stratificare? C'è un criterio narrativo o simbolico che guida queste scelte?
C:
La scelta dei tre livelli da sovrapporre segue sempre un criterio narrativo, a volte più ovvio come nel caso dei lavori anatomici (scheletro, muscoli, organi) a volte sono riferimenti letterari, per esempio in Jungla N.1 il livello blu è un riferimento a I Libri della Giungla di Kipling, è una rappresentazione de il Bandar-log, il popolo delle scimmie nascoste nella fitta vegetazione della Giungla. Altre volte cerchiamo di creare delle sovrapposizioni inaspettate che portino a un senso di straniamento come in Landscape n.1 dove nel verde hai una foresta e nel rosso l’interno di una chiesa quindi c’è questa metamorfosi tra un esterno che si ribalta in un interno che porta ad un effetto appunto straniante, onirico.

6) Nelle wallpaper come "RGB" la flora e la fauna si mescolano in un ecosistema impossibile.
Cosa vi affascina dell'idea di creare questi mondi ibridi, dove specie diverse coesistono
nello stesso spazio?
C:
Guarda noi siamo molto appassionati di tassonomia, di classificazioni, sia quella scientifica da Linneo in poi, sia quella precedente per esempio i bestiari medioevali. Quindi per noi è interessante creare questi mondi dove il reale e il fantastico convivono l’uno accanto all’altro in maniera verosimile. Poi se uno ci pensa anche nei giardini botanici abbiamo la convivenza di specie diverse che normalmente vivrebbero in luoghi disparati della terra e che sono state messe le une accanto alle altre in maniera diciamo artificiale ma che poi in realtà si adattano e funzionano benissimo anche in ambienti che non sono i loro. Ecco spesso noi creiamo quelli che si potrebbero definire dei giardini botanici su carta. 

7) Il vostro lavoro trasforma l'atto del guardare in un'esperienza attiva: chi osserva deve "scegliere" cosa vedere. Come vi rapportate a questa democratizzazione dello sguardo?
C:
Ma forse l’atto del guardare è comunque sempre un’esperienza attiva, davanti alla stessa immagine ognuno di noi seleziona dei dettagli diversi e vive un’esperienza differente. Nelle nostre immagini c’è un invito ad un’esplorazione più profonda, ad uno sguardo “verticale” all’interno della superficie invece che allo sguardo “orizzontale” a cui di solito si è abituati.

8) I tre colori primari ( rosso, verde, blu) hanno anche significati simbolici e culturali diversi. Quando assegnate un'immagine a un colore, considerate anche questi aspetti o è puramente una scelta compositiva?  
C:
Sì è così, da una parte c’è un’esigenza compositiva, di equilibrio dei colori, dall’altro i tre colori hanno delle funzioni simboliche diverse. Intanto perché non funzionano allo stesso modo, questo proprio per la fisica della luce e poi per la fisiologia dell’occhio umano. Senza andare troppo sul tecnico diciamo che il filtro rosso è quello che permette una visone più nitida e chiara, mentre con il blu la visone è meno chiara, meno nitida. Il verde sta nel mezzo. Ora è chiaro che a partire da questo funzionamento differente, ma puramente fisico dei filtri c’è la possibilità di dar loro un significato narrativo ma anche simbolico. Per esempio per quanto sia il più difficile da utilizzare, per noi il filtro (o la luce) blu è sempre stato quello più intessente, il più “magico” perché ti permette di vedere quello che è completamente invisibile a luce naturale. Per cui è il livello più profondo, quello più onirico, quello che ha a che fare con l’inconscio. Solitamente nel blu rappresentiamo tutte le cose che hanno a che fare con il sogno, il fantastico, il mostruoso, cose che ci sono ma che non si vedono mai in maniera chiara e netta e forse meglio così: si intravedono, si percepiscono sono anche un po’ deformate. Oppure nei libri, per esigenze narrative con il blu si vedono gli animali notturni, le creature degli abissi, ecc.

9) Avete mai pensato a come le vostre carte da parati "invecchiano" insieme a chi le abita?
L'idea che qualcuno possa scoprire nuovi dettagli nel tempo vi affascina?
C:
Sì certo i nostri lavori sono sempre ricchi di dettagli e questo permette in teoria di scoprirne sempre di nuovi nel tempo. Un piccolo aneddoto: un nostro cliente svizzero che aveva comprato da noi una carta da parati, dopo diversi anni ha dovuto traslocare e ha voluto acquistare lo stesso pezzo per la casa nuova perché si era così affezionato a quel disegno che anche se aveva cambiato casa non se ne voleva separare. È una cosa che ci ha fatto molto piacere

10) Quanto è digitale il vostro processo e quanto invece rimane analogico?
E come gestite tecnicamente la precisione necessaria per far funzionare la sovrapposizione?
C:
Il nostro lavoro è sia analogico sia digitale. Nel senso che quasi sempre utilizziamo come materiale grezzo per creare i nostri collage delle incisioni antiche, che poi naturalmente spesso modifichiamo a seconda di quello che ci serve ma di cui preserviamo la ricchezza dei dettagli e delle textures. Poi il processo che utilizziamo è totalmente digitale e non potrebbe essere altrimenti. Ma il risultato, l’output è ancora analogico perché il materiale di partenza lo è. E ancora, è analogico perché il passaggio da un livello all’altro avviene tramite un processo analogico, l’uso dei filtri, o della luce colorata, non è un video digitale. Hai davanti a te una parete che si trasforma sotto i tuoi occhi solo tramite un cambio di colore della luce.

11) Nel vostro archivio ci sono anche molti libri e pubblicazioni. Come si traduce il vostro metodo visivo, fatto di stratificazioni, filtri e trasformazioni nella dinamicità narrativa di un libro?  Cosa cambia nel vostro processo quando lavorate per l'editoria rispetto alle installazioni?
F:
Sì noi abbiamo iniziato disegnando carte da parati e le abbiamo utilizzate soprattutto per creare delle installazioni a scala architettonica,  per noi i wallpaper erano il mezzo ideale per arrivare ad una sorta di affreschi contemporanei. Quindi diciamo che abbiamo iniziato con il “grande”. I libri sono venuti qualche anno dopo. Per fortuna abbiamo avuto la possibilità di farne perché comunque era cosa che ci interessava molto. Diciamo che la differenza tra lavorare a un’installazione o comunque ad un pezzo di grande formato rispetto ad un libro non è tanto la scala quanto la durata. Disegnare un singolo pezzo è un po’ come correre i 100 metri: richiede un grande sforzo una grande concentrazione però limitata nel tempo, invece un libro è un po’ come una maratona, vai più piano ma devi resistere per 40 Km! Devi imparare a tenere il passo giusto e a dosare le forze altrimenti scoppi a metà del percorso.
S: Il nostro metodo di lavoro prevede molte prove di stampa. Lavorando sui libri riusciamo a farle in scala 1:1 e per questo riusciamo a capire bene il risultato finale, quantomeno di ogni doppia pagina, mentre con le carte da parati che saranno stampate in svariate dimensione è più difficile. Certo, facciamo delle prove di stampa di varie porzioni, ma vedere una carta da parati intera installata per la prima volta, magari su una parete alta 4 metri,  rimane sempre una grande emozione.

12) Prima di salutarvi, volete consigliarci una lettura, un artista, uno scrittore o una figura che ispira il vostro immaginario e il vostro processo creativo?
F:
Un libro che mi sento di consigliare e che in qualche maniera è stata una fonte di ispirazione è L’Arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg, parla di moltissime cose interessanti ma soprattutto esprime molto bene un concetto in cui credo molto cioè il fatto che si può arrivare ad una conoscenza vastissima senza per forza dover esplorare il mondo ma concentrandosi su pochi metri di terreno nel giardino di casa. Anche solo una zolla di terreno contiene un intero universo.
S: Sono sempre stata affascinata dai codex miniati e dalle enciclopedie illustrate e il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, anche se pubblicato per la prima volta nel 1981, continua a meravigliarmi. Una catalogazione e descrizione molto minuziosa di un mondo inesistente, ma non così lontano del nostro, attraverso delle illustrazioni fantastiche, specialmente quelle di storia naturale, e commentato con una lingua immaginaria scritta in un alfabeto inventato. Un capolavoro incredibile!


Grazie infinite a Silvia e Francesco per averci accompagnato nel loro mondo,
e averci mostrato come cambiare colore.
Se volete approfondire il mondo di Carnovsky li trovate su IG _carnovsky_
oppure sul loro sito QUI

Sono abituato a vedere
il tempo come un lampo
tra due eternità.
— William Morris
 

Immagine per Alice nella Città Film Festival - ©Carnovsky

Filtro Rosso - Immagine per Alice nella Città Film Festival - ©Carnovsky

Filtro Verde - Immagine per Alice nella Città Film Festival - ©Carnovsky

Filtro Blu - Immagine per Alice nella Città Film Festival - ©Carnovsky

Jungla N1 ©Carnovsky

Jungla N1 ©Carnovsky

Landscape N1 ©Carnovsky

Landscape N1 ©Carnovsky

©Carnovsky

©Carnovsky

Sara Stefanini

Illustratrice e graphic designer

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